MARILYN

Barbara Mapelli


Il film è brutto, molto brutto e non bastano a riscattarlo le bravure di attrici e attori. Quando la gabbia della narrazione stringe in un recinto che sembra un repertorio di stupiderie di genere non vi è abilità recitante, competenza al gesto e alla parola che possa redimere un vizio di origine, una serie di pregiudizi sessuati che mortificano non solo chi sta sulla scena, ma anche chi vi assiste.
Una sequenza di stereotipi, uno stupidario compitato diligentemente che assomma una serie notevole di cretinerie quasi si volesse, tramite queste, vincere un premio, raggiungere un traguardo.
Marilyn è stata una donna apparentemente ben lontana dagli obiettivi di liberazione delle donne, eppure sempre amata da molte femministe. Ricordo uno scritto molto bello di Luisa Muraro in cui se ne tenta una spiegazione analizzando Il principe e la ballerina, che è appunto il film che si gira nel corso del film che ci viene proposto. Un film nel film, certamente non una grande novità! Comunque Muraro, prendendo in esame Il principe e la ballerina – anche in questo caso un prodotto ben più che modesto – scrive che è ‘l’in più’’ d’amore che Marilyn offre, come dono gratuito, che la rende più grande dei suoi compagni di scena e di vita.
La ‘nostra’ Marilyn in questo film invece scompare. E’ una donna fragilissima, nevrotica, con una ripetitività di situazioni elementare e continua. Una brutta dispensina postfreudiana. E allora piange e si tormenta, fa capricci ed è sempre in ritardo, ma, per carità, è perché soffre, perchè non è stata amata da piccola. Sul set, quando ci arriva, è bravissima, però, badate bene, non si tratta di copmpetenza, esperienza, professionalità, un saper essere nella parte che si conquista col tempo e con lo studio, no, queste sono doti che possiede il suo comprimario sir Laurence Olivier (il principe): quel che riesce bene a Marilyn lo si deve a spontaneità, naturalità, una piccola selvaggia che si muove meravigliosamente sul set senza che nessuno gliel’abbia insegnato, senza alcuno sforzo, dopo che sia riuscita a superare i noiosissimi quarti d’ora che ci vengono propinati di attacchi nervosi e isterici.
Ma c’è chi l’aiuta e le sta a fianco, alcuni uomini e una donna. E anche qui una generosa profusione di stereotipi.
Sir Laurence Olivier (l’attore Branagh) è antipatico quel tanto che basta e anche di più, grazie all’istrionismo di chi lo interpreta, ma è un grande ammiratore di Marilyn sulla scena e in questo modo la rassicura.
Ma l’asso nella manica è il protagonista/voce narrante: un ragazzino di buona famiglia, che all’improvviso diviene uomo che cura e protegge, capisce e condivide pianti e attacchi di infantilismo della diva e, naturalmente, ne condivide anche il letto anche se si vedono solo castissimi baci (eh sì, il film è anche casto).
Dimenticavo la sporadica presenza di un improbabile Arthur Miller e in questo caso lo stereotipo è tra i più praticati e noti: l’intellettuale che ‘non riesce più a pensare, non riesce più a scrivere’a fianco della donna bellissima, sofferente e un po’ matta. Insomma è la storia che si ripete da millenni: l’amore delle donne che distoglie gli uomini dalle imprese, ma loro, lui, Miller, riesce virilmente a sottrarsi, se ne va, torna ai suoi libri e, dice, ai suoi figli.
Vi è anche una donna vicina a Marilyn, Paula, naturalmente materna, naturalmente brutta: solo così si può stabilire una relazione di aiuto, solidarietà e comprensione tra donne?

 

12- 6- 2012